The Phantom of the Opera
- Dino Morabito Studio
- 26 apr
- Tempo di lettura: 5 min
Il Fantasma dell'Opera aleggia su tutti noi.
Una piccola comunità locale deve scegliere i suoi futuri amministratori e come tante altre comunità in Italia gli aspiranti amministratori faranno i conti con lui, con il fantasma che raggruppa chi per svogliatezza, disillusione, disaffezione, non parteciperà alla tornata elettorale prossima.
Quanto peso avrà? chi favorirà indirettamente?
Per calcolo, ovviamente favorirà chi avrà più voti, chi si ritiene parta avvantaggiato.
Ma attenzione, c'è una sostanziale differenza tra chi si ritiene in pectore già eletto e chi invece si organizza per elaborare una strategia di contrasto ed alternativa.
Non è elemento che determina una seria previsione.
Il centro destra si presenta come una corazzata. Il centro sinistra è un pugile che dopo aver preso una tonnellata di pugni si sta schiarendo le idee e si sta riorganizzando.
I primi partono con una lista unica che riunisce i due agoni della politica locale, i secondi arrivano in ordine sparso con tre liste.
La prima sensazione che arriva è quella di una parte compatta ed una divisa.
Ma si sa, la politica è strana, in politica 2+2 fa 3 e 2-2 fa 1.
Chi si presenta unitario spesso paga il prezzo di chi si riconosce precisamente in un progetto; invece, chi si presenta in ordine sparso risulta inaspettatamente avere una platea più ampia.
Il mio cane, Dobby, è un cane da caccia, io lo chiamo Aspirapolvere, annusa tutto in maniera quasi bulimica, il suo olfatto ha un valore superiore alla sua vista.
ho provato a fare come lui, ad imparare da lui e sentire e valutare oltre la vista e le orecchie.
Secondo me questa tornata elettorale non è scontata e presenterà dei numeri diversi da quelli che ci si aspetta.
I favoriti rimarranno favoriti intendiamoci, ma non sarà Bulgaria.
Cari amici, da qualche tempo non scrivo sul mio blog, ne voglio riprendere le redini e la prossima tornata elettorale del paese in cui vivo, Opera, è un'occasione ghiotta.
Torno a scrivere anche perché è un periodo ricco di avvenimenti a livello nazionale ed internazionale che, chi verrà dopo di noi ne troverà nota, forse anche, sui libri di storia.
Tante cose accadono tanto velocemente che noi stessi fatichiamo a farcene un’opinione compiuta.

In questa incompiutezza ci muoviamo tentoni ostentando sicurezza o ammainando la bandiera della logica ed alzando quella del benedetto silenzio, i più saggi.
Vero è, che siamo tutti figli del pensiero democratico che si è consolidato a seguito della più grande tragedia degli ultimi secoli, la Seconda Guerra Mondiale e quando accade qualcosa che esce dagli schemi della nostra visione occidentale tutto si fa più sfuocato.
La grande tragedia ci ha rivelato che solo una visione democratica e liberale genera benefici sociali a lungo termine.
Ma è anche vero che il tempo migliora, stagiona, consolida, ma altre volte logora, sfalda, sfilaccia.
Ed il pensiero democratico oggi è in crisi, implode sotto i colpi di una presunta necessità di efficienza nel decidere e disporre, pianificare senza tenere conto dei costi sociali ed economici.
Gli analisti sostengono, a ragione a mio avviso, che in verità non abbiamo smesso di fare guerre, ma si è passati dai conflitti globali a quelli regionali.
Oggi ci rapportiamo globalmente, prima economicamente con costi sociali enormi, ora anche politicamente con paesi che hanno avuto altri percorsi e che non conoscono la democrazia così come la viviamo noi.
Il perché di questa crisi la intuisco, provo, ragiono, mi dimeno, faccio cose, vedo gente, ma non ne voglio scrivere qui, me ne occuperò.
Implodo e ragiono su quello che ognuno di noi invece dovrebbe chiedersi se vuole capire cosa accade attorno a sé.

Le nostre comunità locali spesso sono una buona palestra per capire, addentrarsi, esercitarsi e mettere a disposizione della comunità il proprio tempo e le proprie competenze.
Questa è politica, arte che attiene alla polis.
Ma tutto parte dalla conoscenza del territorio, delle sue caratteristiche in termini demografici, economici, culturali, storici.
Di ciò che ci circonda in termini di regole, diritti, doveri, idee e progetti. Visioni.
Insomma, bisogna interessarsi, perderci del tempo.
E spesso non siamo disposti ad investire molto tempo dietro queste cose, distratti dal quotidiano fluire degli impegni e degli affanni. Spesso riteniamo persino di sapere, quando invece a volte non conosciamo nemmeno ciò che ci spetta di diritto e ciò per cui siamo chiamati a contribuire.
Questo genera confusione, incertezza, e liquidiamo la questione demandando pigramente a qualcun altro l’amministrazione della cosa pubblica. Delegando, fidandoci.
Su questo pensiero innesto un'altra questione. Si tratta di amministrazione della cosa pubblica o di governo?
Forse è proprio questo il dilemma, governo o amministrazione.
Di una cosa sono cautamente sicuro, amministrare è un metodo, governare è un’”attitude".
Governare è un atteggiamento culturale che genera visioni, progetti ed elabora strategie finalizzate alla realizzazione, concretamente, di ciò che ci siamo immaginati.
Amministrare è rispondere a dei comandi numerici, in maniera determinista rispondiamo e chiudiamo la partita in corso.
In Italia per troppo tempo ci siamo accontentati di chi amministra, più o meno bene.
Di chi fa quadrare i conti, di chi li gestisce non facendoli quadrare o facendoli quadrare secondo una metodologia o una logica del tutto personale ed utilitaristica.
La ricerca e la gestione del consenso può diventare una pratica diabolica ed il buon governo viene piegato obtorto collo a questa logica.
Ora ne paghiamo le conseguenze a tutti i livelli, da quello locale a quello nazionale.
Siamo indietro sull’organizzazione e la salvaguardia dei territori, sull'urbanistica, sulla produzione dell’energia, sulla scelta delle fonti da privilegiare, da programmare e da sviluppare.
Sulla scuola, sulla sanità e sulla difesa, sulla sicurezza. Il discorso è lungo. E non pretendo di affrontarlo qui e ora.

Ora, noi abbiamo bisogno di persone che abbiano una visione, che abbiano un progetto, che capiscano che avere una visione oggi diventa indispensabile.
Che sappiano modulare e mediare tra l’appartenenza politica e le istanze locali, tra i desiderata e la realtà delle cose. Che abbiano il coraggio delle idee e non attendere le imboccate del viceré di turno.
Chi va a votare oggi lo fa con un sentimento più consapevole e delle aspettative più alte. Chi non va a votare oggi invece non ci crede più. Ecco oggi, non so quanti di noi credono che un cambio di costume sia possibile. Quanti di noi, disillusi, demotivati, invece sosterranno il Fantasma dell'Opera ovvero quel partito che non andrà a votare e con cui tutti prima o poi faranno i conti.
Forse pretendo troppo ma in Italia, quindi non solo nel comprensorio in cui risiedo o quello in cui sono nato e cresciuto, oggi è necessario un cambio di costume, di mentalità e di modus. Perché di gente che ripara buche e steccati, chi si fa le foto accanto agli operai, chi prende pala e piccone e si mette il vestito della festa, chi colora panchine e poi le abbandona, ne abbiamo vista tanta.
Tanta gente che non ha idee, che guarda ma non vede, che sente ma non ascolta.
Gente che non immagina per i propri figli un mondo migliore, che si accontenta di far quadrare i conti. Alcuni, i propri.
Che poi i conti poi non tornano, nemmeno i marchesi, figuriamoci i duchi.
Ora, io voto, non sosterrò il Phantom of the Opera, ma voterò per chi sa sognare ad occhi aperti, chi ha capacità di progetto e di visione, ma che me li racconti questi progetti, che mi renda partecipe delle sue visioni.
E mi deve convincere.
Post Scriptum:
Aspetto che si ufficializzino i candidati, poi farò una riflessione su ogni singola lista.
Rimanete sintonizzati.
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